lunedì 29 agosto 2011

Camille Claudel

CAMILLE CLAUDEL
Camille Claudel nasce l’8 dicembre 1864, alle ore 5.00 a Villeneuve-sur-Fère, un piccolo villaggio nella regione della Champagne. Il padre, Louis Prosper, era il Direttore dell’Ufficio delle Imposte; la madre, Louise Cerveaux, una donna infelice, di rigidi principi morali e molto legata alle convenzioni, era incapace di mostrare sentimenti materni, in particolare verso Camille perché disapprovava fin da bambina le aspirazioni, la fantasia e la sua natura libera e selvaggia. Camille, aveva due fratelli, Luise e Paul. A quest’ultimo,  era molto attaccato, ma come la mamma neppure lui capiva l’anima di Camille. Diversamente la sorella Luise, era molto attenta a compiacere la madre, difatti si sposò seguendo la tradizione ed il modello dell’epoca, tanto amato dalla madre.

Camille, scoprì molto presto la passione per la scultura, aveva solo 13 anni quando modellò la sua prima figura in argilla. La scultura coinvolge l’intera famiglia, perché furono i primi soggetti viventi a posare per lei. Camille legge molto, attingendo alla biblioteca del padre, assimilando una straordinaria cultura. Cosa eccezionale per una ragazza  in quel periodo storico. Il padre, quando Camille aveva 15 anni fece visionare le sue sculture dallo scultore Alfred Boucher, che rimase talmente impressionato dal talento della ragazza da impegnarsi a seguirla lungo il percorso artistico. 

Camille fece di tutto per convincere il padre a trasferirsi a Parigi, perché convinta che in un piccolo centro non avrebbe avuto molte possibilità di emergere artisticamente. Così nel 1881 si trasferì a Parigi con l’intera famiglia avendo l’opportunità di seguire le lezioni di Alfred Boucher all’Académie Colarossi. Poco dopo per essere più indipendente, affittò un atelier con tre amiche inglesi.

Tre anni dopo Alfred Boucher dovette lasciare le sue allieve per un soggiorno-premio in Italia e chiese ad Auguste Rodin, ancora poco conosciuto, di sostituirlo nell’insegnamento, raccomandandogli in particolar modo Camille. Rodin riconobbe subito lo straordinario talento di Camille, che aveva ventiquattro anni meno di lui. Nel 1883 Rodin la volle nel suo atelier, con le mansioni di modella e di sbozzatrice. Aveva solo 19 anni, ed era di una bellezza prepotente e affascinante, tanto che Rodin che aveva 43 anni né rimase profondamente colpito al punto che fece di tutto per conquistarla facendone la sua amante, nonostante avesse un legame stabile con Rose Beuret, donna rozza e semianalfabeta con cui aveva avuto un figlio. Camille era immensamente innamorata di Rodin, e visse con lui anni di passione e di lavoro comune, aiutandosi ed ispirandosi a vicenda nel creare alcuni fra i più grandi capolavori scultorei di tutti i tempi.
Rodin
La famiglia Camille, ipocritamente, finse d’ignorare per lungo tempo che Camille amava Rodin e che conviveva con lui, perché era scandaloso per una ragazza unirsi con un uomo fuori dal vincolo del matrimonio. Intanto Rodin diventò sempre più celebre tanto che nel 1887 ottenne la Legion d’onore, la massima onorificenza francese. Camille, nel frattempo, scolpì i suoi capolavori ed insieme a Rodin frequentò i grandi pittori Impressionisti. Per qualche tempo la sua fu una storia d’amore felice.

Durante la relazione Camille rimase incinta, ma interruppe la gravidanza sicuramente costretta da Rodin perché evidentemente non amava legami impegnativi. La prova che non amava impegnarsi per la vita, la troviamo nel fatto che non volle mai unirsi in matrimonio neppure con Rose Beuret, malgrado il figlio nato dal loro rapporto. Rapporto che malgrado l’amore per Camille non fu mai interrotto. Sicuramente fu proprio l’interruzione della gravidanza a convincerla che Rodin non l’amava veramente. Sicuramente non l’amava al punto da sposarla. Per Camille fu una delusione e un grande dolore, tanto che decise di lasciare Rodin. Era il 1893, ogni tanto si scrivevano, ma i rapporti ormai erano definitivamente rotti. Affittò uno studio-abitazione dove continuò la sua attività artistica, realizzando importanti sculture. 

Camille fu una donna che volle seguire la sua vocazione artistica, e non esitò ad amare fuori dagli schemi, cosa assolutamente intollerabile per quel periodo storico. Difatti si trovò sola, delusa, e non abbastanza stimata e considerata artisticamente. Qualche tempo dopo, incontrò il giovane compositore Claude Debussy, ma il rapporto durò solo due anni. Evidentemente la ferità lasciata da Rodin era ancora aperta. Tutto lascia credere che Camille aveva amato talmente tanto Rodin che nel suo cuore non c’era posto per nessun’altro. La vita di Camille divenne molto complicata perché la famiglia invece di aiutarla quando rimase sola, le girò le spalle perché avevano vergogna per come viveva …. pur non facendo nulla di male. Finchè rimase legata Al famoso artista Rodin, la famiglia la tollerava, ma quando si lasciò con Rodin le negò il sostentamento. Il padre a volte di nascosto l’aiutava, ma evidentemente non era sufficiente. 
L'abbandono

Per lo stato di povertà in cui si trovava, per l’abbandono da parte della famiglia, ma soprattutto per la delusione patita con Rodin, Camille incominciò a lasciarsi andare, frustrata per il rancore verso Rodin incominciò ad ammalarsi. Fu colpita da una forte depressione e scoraggiamento, che sfociò in vera e propria ossessione. ( Penso che chiunque nelle sue condizioni sarebbe rimasta scossa). Chiusa nel suo atelier, visse in povertà avendo per compagnia solo i suoi gatti. E ossessionata dalle sue manie, appena completava una scultura la distruggeva perché convinta che Rodin l’avrebbe copiata. Vere e proprie “esecuzioni”, come lei stessa le definì. Nel 1911. Lo stato di salute di Camille si aggravò ulteriormente perché soffriva molto per essere stata abbandonata  dalla sua famiglia, che continuava ad implorare affinché l’accogliesse in casa. Ma Camille, per la sua famiglia era persona non gradita. 

La Madre riusciva solo a coprirla di rimproveri insieme alla sorella Louise., lo stesso faceva il fratello Paul. Solo il vecchio padre, di nascosto, continuava a mandarle del denaro. Ma le sfortune per Camille sembrava non avessero mai fine, infatti,  il 3 marzo 1913 il padre l’unico a sostenerla sia economicamente che con il suo affetto, venne a mancare. Uomo colto ed illuminato, aveva sempre cercato di aiutarla, appoggiando ed approvando la sua aspirazione alla scultura. Per lei fu una specie di colpo di grazia perché le sue condizioni di salute precipitarono. 

(Personalmente, mi rifiuto assolutamente di considerarla pazza come fecero tutti coloro che la conobbero ….. la famiglia tutta e quel vermiciattolo egoista di Rodin che con il suo cinismo aveva distrutto la sua vita e messo fine alla sua carriera artistica. Un essere immondo che aveva abusato della sua purezza e ingenuità).
Così in una  riunione di famiglia, cui parteciparono anche il marito della sorella Louise, magistrato, ed il fratello Paul che, in quanto diplomatico di carriera, riteneva Camille troppo ingombrante anche per lui che pure le voleva bene, decisero di condannarla ad essere cancellata dalla vita sociale. Difatti il 10 marzo 1913, per volontà dei familiari e soprattutto della madre, venne internata nell’Ospedale psichiatrico di Ville-Evrard e poi, allo scoppio della prima guerra mondiale, fu trasferita a Montdevergues, vicino ad Avignone. Condannandola in questo modo ad una sofferenza indicibile. 

Nei primi anni d’internamento la madre fece vietare ogni visita alla figlia. “Tenetevela, ve ne supplico… ha tutti i vizi, non voglio rivederla, ci ha fatto troppo male”. Così scriveva la madre al Direttore del Manicomio senza riuscire a perdonarle le sue scelte anticonformiste. Camille sembra dimenticata da tutti: la madre e la sorella non le faranno mai visita, il fratello Paul solo due volte in trent’anni d’internamento. Secondo i medici, le sue condizioni sono alterne, passa da fasi in cui è preda di manie di persecuzione, a momenti di maggiore serenità. In manicomio non era violenta né aggressiva. Col passare degli anni diventò sempre più tranquilla e chiedeva insistentemente di tornare a casa, gli stessi medici fecero un tentativo di riavvicinamento alla famiglia, consigliando di farla rientrare a casa. Ma questa soluzione non fu mai presa in considerazione dai familiari. Camille, come testimonia una sua lettera, rifiutò anche le sollecitazioni che le venivano rivolte di riprendere la scultura. Resterà rinchiusa, sentendosi condannata al manicomio solo perché aveva scelto di vivere la sua vita e la sua arte da persona libera. Cosa che non le fu mai perdonato prima di tutto dalla famiglia …. ed in particolare dalla madre, la persona che più di tutte, avrebbe dovuto sostenerla e amarla. (Sarà anche per il periodo storico …… ma se non sbaglio i periodi storici li definiamo noi con i nostri comportamenti, o no?) Questi umani!!
L'età matura
Nel 1942 le condizioni fisiche ed intellettuali di Camille registrarono un progressivo indebolimento e il 19 ottobre 1943, all’età di 79 anni, dopo oltre trent’anni di manicomio tra sofferenze di ogni genere, finalmente fu libera. Nessuno, nemmeno il fratello, partecipò al suo funerale. La crudeltà del mondo e soprattutto dei familiari non si fermò neppure di fronte alla distruzione della sua sepoltura. Difatti poco tempo dopo, l’Ufficio del Cimitero, comunicò alla famiglia Claudel che il terreno dove era stata sepolta Camille Claudel era stato requisito per “necessità di servizio” e che la sua tomba, sormontata da una croce recante le cifre “1943 - n. 392”, non esisteva più.

 Di Camille Claudel si conoscono soltanto 67 sculture sopravvissute alle sue esecuzioni, oltre ad una serie di disegni, una quindicina in tutto. Le sue sculture, tecnicamente perfette, sprigionano un erotismo ed una profondità di sentimenti che colpiscono e commuovono profondamente.
Camille per il suo tempo, per la sua famiglia era considerata inferma di mente e quindi andava internata. Prima bisognerebbe stabilire la misura in cui si è in regime di normalità. Per quanto hanno visto i miei occhi, guardando il mondo intorno a me, non sono stupito se in un mondo di folli, di egoisti, di teste vuote considerate normali, quelli come Camille sono scacciati, annientati e odiati….. ma per assurdo, dopo morti sono osannati.
Li osannano dopo morti perchè da vivi con il loro esistere, testimoniano quanto sono inutili e banali i cosiddetti normali. 

Nei trent’anni d’internamento Camille Claudel scrisse numerose lettere, in massima parte indirizzate al fratello Paul ed alla madre. In esse chiedeva sempre di tornare a casa.
Ne riporto alcuni brani strazianti che si ripetono negli anni, ben trenta, e che non possono non farci pensare che questa artista ha, in realtà, pagato il prezzo del suo tempo: lo scandalo di essere una donna libera e creativa:
“Mi si rimprovera (efferato crimine!) di aver vissuto sola, di trascorrere la mia vita con i gatti, di avere manie di persecuzione”.
“Essendo l’immaginazione, il sentimento, il nuovo, l’imprevisto, che nascono da uno spirito evoluto, incomprensibili per loro, cervelli ottusi, eternamente chiusi alla luce, occorre che qualcuno fornisca loro un’illuminazione… qualcuno, almeno, potrebbe riconoscere il merito di originalità e dare qualche compenso alla povera donna che hanno spogliato del suo genio: no! Un manicomio! Nemmeno il diritto ad avere una casa!… E’ lo sfruttamento della donna, l’annientamento dell’artista cui si vuol far sudare anche il sangue.”
“Mi dispiace vedere che sprechi il tuo denaro per un manicomio. Denaro che potrebbe servirmi per eseguire delle belle opere d’arte, e vivere piacevolmente!”
“Ho fretta di lasciare questo posto… non so se tu abbia intenzione di lasciarmi qui, ma è davvero molto crudele per me!… E dire che si sta così bene a Parigi e vi si deve rinunciare per i grilli che avete in testa… non abbandonarmi qui tutta sola…”
“In questi giorni di festa, penso sempre alla nostra cara mamma. Non l’ho più rivista dal giorno in cui avete preso la funesta decisione di farmi ricoverare in manicomio! Penso al bel ritratto che le feci all’ombra del nostro giardino. I grandi occhi nei quali si leggeva una segreta sofferenza, lo spirito di rassegnazione che emanava dalla sua figura, le mani incrociate sulle ginocchia in un atteggiamento di completa abnegazione: tutto denotava la modestia, il senso del dovere spinto all’eccesso che caratterizzavano la povera mamma. Non ho mai più visto il ritratto (non più di quanto non abbia visto lei stessa!). Se mai ne avessi notizia fammi sapere. Non penso che l’esecrabile personaggio di cui ti parlo sovente (Rodin) abbia l’ardire di attribuirselo, come ha fatto per altre mie opere: sarebbe davvero il colmo, trattandosi del ritratto di mia madre.”
“…condannarmi all’eterna prigione per impedirmi di protestare! Tutto questo nasce, in fondo, dal cervello diabolico di Rodin. Aveva un’idea fissa, ed era che, dopo la sua morte, io spiccassi il volo come artista e diventassi più grande di lui: doveva riuscire a tenermi fra i suoi artigli dopo la morte come in vita. Bisognava che fossi infelice, che lui fosse vivo o no. E’ riuscito in ogni suo intento perché, quanto ad essere infelice, lo sono!… sono molto seccata per questa… schiavitù.”
Nel 1935, otto anni prima di morire, in una lettera ad Eugène Blot scrisse: “Sono precipitata in un baratro… Del sogno che fu la mia vita, questo è un inferno”.
In tutte le lettere traspare la disperazione, il forte desiderio di tornare a casa.
Trovo che la sofferenza di Camille sia commovente, struggente per qualsiasi persona, anche di quelle cosiddette normali …. almeno è quello che voglio credere….
Fonti:
Le informazioni alla stesura del post, sono tratte dal sito di Maria grazia La Rosa:
e
dal libro: Anne Delbée. Una donna chiamata Camille Claudel Longanesi editore, Milano, 1988

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono sottoposti a controllo.